Area Riservata





LogoCentenario

Cent'anni d'Aviazione

Come gli Stiavelli italiani, nessun’altra famiglia è rimasta da più tempo ininterrottamente presente e attiva nel mondo aeronautico, potendo vantare d’aver raggiunto e superato i cento anni con il passaggio del Testimone Alato fra ben quattro successive generazioni.

Si può riconoscere il Dna della propensione all’impresa fin dalle origini vichingo-normanne di questa famiglia nel Dodicesimo secolo. Alcuni figli, insieme con altri giovani nobili francesi, furono attratti dall’avventura della prima Crociata. Al termine, almeno uno di essi rimase nelle terre conquistate in Palestina, dedicandosi al commercio degli schiavi, che nel Mediterraneo a dominazione musulmana (e non solo) era molto diffuso. I guadagni vennero investiti nell’acquisto di terre nel Meridione d’Italia, dove la famiglia u nota con il nome di “Schiavelli”. Nello stemma gentilizio lo indica il busto di un moro vestito di rosso.

Nelle cronache del Sedicesimo secolo si trovano le tracce di un rampollo comandante in seconda di una galea papale, la “Luna”, partecipante alla vittoriosa battaglia di Lepanto, che segnò la fine del dominio turco nel Mediterraneo. Poco dopo, scartata la possibilità di reinsediarsi nell’originaria Normandia, la famiglia si stabilì in Toscana nella regione di Pescia, dove il nome compare addolcito in Stiavelli. Cronache del tempo ne registrano le attività nell’agricoltura, nell’edilizia con una manifattura di mattoni e nella filatura di seta.

Il Secolo dei Lumi porta terreno fertile ai giovani ingegni con interessi nelle arti e nelle scienze. Attraversato il Granducato, le guerre napoleoniche e la restaurazione, con la nascita del Regno d’Italia si trovano tre rami di una famiglia ben radicata fra il Pistoiese e il Pisano, fra loro noti come “i contadini”, “i ricchi” e “i dotti”.

Da quest’ultimo, alla fine dell’Ottocento nascono due fratelli gemelli, noti agli attuali posteri come Nonno Giuseppe e Zio Manlio. Due ingegneri, due canne dello stesso fucile culturale. Uno si laurea nel gennaio 1914 e l’altro poco dopo, in marzo. Hanno interessi comuni per la nascente aviazione, ma diverse sono le loro destinazioni all’atto della loro incorporazione nell’Esercito, che presto sarà mobilitato per partecipare alla prima Guerra Mondiale.

Ufficiale d’Artiglieria, Giuseppe Stiavelli dimostra uno spiccato interesse per i nuovi aeroplani Blériot, che già l’Esercito aveva adottato nel 1911, utilizzandoli nella campagna di Libia (primo esempio di applicazione bellica dell’aviazione). Riesce persino a farsi portare in volo e si adopera per essere ammesso alla scuola di pilotaggio.

Per lui, però, lo Stato Maggiore ha altri piani. Preoccupato dalla costruzione in Austria di un dirigibile da bombardamento capace di colpire le fabbriche italiane nella Pianura Padana, assegna al giovane Tenente l’incarico di sviluppare un’industria aeronautica nel Meridione. Napoli non gli si rivela adatta, mentre a Palermo trova l’industria Ducrot, esperta costruttrice di arredi navali, che già ha diversificato la produzione, costruendo le eliche in legno stratificato per i velivoli Blériot.

Nasce dunque a Palermo il progetto del primo velivolo firmato Stiavelli (due volte, perché anche il fratello Manlio vi partecipa). Per la realizzazione del prototipo non viene ricevuto sufficiente supporto fino alla fine del 1917. Le poche immagini disponibili del biplano da caccia Ducrot SLD (Stiavelli Luzzatti Ducrot) mostrano soluzioni strutturali e aerodinamiche originali, anche grazie alla collaborazione del fratello maggiore, l’ingegner Luigi. Direttore tecnico della Metallurgica di Livorno, egli è fra i primi a produrre in Italia il duralluminio, la lega leggera indispensabile nelle costruzioni aeronautiche metalliche.

Le grandi prestazioni promesse sono confermate dai collaudi ai primi di ottobre 1918, con una velocità massima di 300 km/h. La fine del conflitto ne impedisce però lo sviluppo. E anche la Ducrot, come molte altre industrie rimaste prive di commesse militari, fallisce e viene chiusa.

La carriera militare dell’ingegner Giuseppe Stiavelli prosegue quindi come Ufficiale del Genio Aeronautico della nascente Arma Aeronautica, che diviene indipendente dall’Esercito il 28 marzo 1923.

Dal canto suo, il fratello Manlio trova occupazione nell’industria che nasce nel 1926 a Marina di Pisa con la denominazione CMASA, Costruzioni Meccaniche Aeronautiche SA. Vi partecipano tecnici e capitali provenienti dalla Dornier-Metallbauten tedesca, in quanto in Austria e Germania le attività aeronautiche sono impedite dal Trattato di Versailles. La produzione è dedicata prevalentemente agli idrovolanti del tipo Dornier Wal. Nel 1934 l’industria sarà poi inglobata nel gruppo Fiat tramite la consociata Società Italiana di Aviazione, i cui prodotti portano la sigla MF, Marina Fiat.

In questo contesto, dalla matita dell’ingegner Manlio prendono forma i progetti di idrovolanti a scafo centrale MF 4, MF 6 e MF 10. Poi, nel 1937, nasce il progetto – molto avanzato per il suo tempo – dell’idrovolante ricognitore marittimo veloce Fiat CMASA R.S.14. Il prototipo del Ricognitore Stiavelli vola nel maggio 1939. Ne viene costruito anche un secondo prototipo, seguito da 186 esemplari di serie. Gli ultimi volavano ancora nei reparti da ricerca e soccorso dell’Aeronautica Militare nei primi anni Cinquanta.

Monoplano bimotore (due Fiat a.74 RC.38 da 840 hp), aveva struttura completamente metallica e si appoggiava su due galleggianti molto affusolati collegati alle gondole dei motori e alla fusoliera. Lunga 14,10 m, questa aveva sezione circolare e prua finestrata, L’ala era bassa a sbalzo e di grande allungamento (apertura19,54 m). La coda monoderiva classica (altezza 5,63 m). Il peso a vuoto di 5.470 kg a pieno carico raggiungeva gli 8.470. La velocità massima superava di poco i 400 km/h e la minima (stallo) si riduceva a 115. Con serbatoi interni per 2.950 litri, l’autonomia era 2.500 km alla quota massima di 6.300 m.

L’aereo era armato con due mitragliatrici Breda-SAFAT da 7,7 mm e una da 12,7 mm. Nella prua del derivato modello terrestre A.S. 14 (Assalto Stiavelli) viene montato anche un cannone anticarro Mauser da 37 mm. Una menzione speciale va al progetto dell’affilatissimo monoplano monomotore C.S. 15 (Corsa Stiavelli). Non ancora ultimato, viene requisito e portato in Germania, dove si stanno sviluppando nuovi tipi di caccia veloci.

L’anno 1937 segna anche il ritorno del gemello Giuseppe all’industria, incaricato dalla Piaggio come direttore generale dei cantieri di Finale Ligure, dove rimane fino a poco dopo il termine della Seconda guerra mondiale. Si occupa della costruzione e riparazione degli idrovolanti trimotori CANT Z. 506 e dei bombardieri terrestri Z. 1007ter. Partecipa anche alla messa a punto del quadrimotore P.108 e al progetto di un caccia con motore posteriore, che però non viene realizzato.

Alla fine della guerra, Manlio rimane in Fiat come direttore tecnico della sezione Avio. Nascono a quel tempo i primi aviogetti G.80, G.82 e poi il caccia leggero d’appoggio tattico G.91 con la sigla del suo assai più giovane assistente ingegner Giuseppe Gabrielli.

In una famiglia nella quale si coltivano scienza e tecnologia non mancano opportunità per letture, studi ed esperimenti per il figlio Giorgio. La fanciullezza è segnata dalle grandi imprese dell’aviazione italiana, che  riempiono le cronache mondiali, e la giovinezza dall’enorme sviluppo tecnologico del periodo bellico e, dopo, dalla disponibilità di documentazione proveniente dal mondo industriale americano. Queste le tappe che lo portano a completare la laurea in Ingegneria Meccanica a indirizzo aeronautico nel febbraio 1956.

Lo assume subito la General Electric statunitense, con un gruppo dei pochi che hanno completato gli studi d’ingegneria con un curriculum regolare. Nei primi tre mesi, viene inviato nei vari reparti per prendere visione delle attività e delle procedure in corso, e quindi assegnato all’ufficio tecnico per partecipare al progetto dei generatori a 50 hertz per la prima generazione delle centrali nucleari italiane .

Non soddisfatto dall’allontanamento dal settore aeronautico, partecipa a vari concorsi e ne vince tre: per la Douglas, per la Firestone e per l’IRI. Sceglie quest’ultimo, in quanto si tratta di gestire le prove di volo del primo velivolo supersonico sviluppato in Italia, l’Aerfer Sagittario II progettato dall’ingegner Sergio Stefanutti. Il prototipo si trova presso il Reparto Sperimentale di Volo dell’Aeronautica Militare a Pratica di Mare, dove il 4 dicembre viene portato in picchiata a superare la velocità del suono dal tenente colonnello Giovanni Franchini.

L’incarico è appassionante, poiché il programma prevede che dal prototipo sperimentale si passi a un velivolo da combattimento di serie denominato Leone.

Il giovane ingegnere s’impegna in questo programma per cinque mesi, facendo anche tutto il calcolo strutturale per l’installazione nel Sagittario del motore a razzo ausiliario Rolls-Royce Soar da 822 kg di spinta, trasformandolo nel prototipo Ariete.

In quei mesi a Pratica di Mare, la compresenza dell’Aerfer Sagittario/Ariete e del Fiat G.91, di competenza dello zio Manlio, è considerata dal giovane nipote Giorgio una specie di “passaggio del testimone” progettistico aeronautico fra le due generazioni. 

In ditta, a Napoli Capodichino, gli viene dato dall’ingegner Amilcare Porro anche l’incarico di verificare il calcolo della struttura del Aerfer Ae-105 da lui progettato e che dopo la fusione con la Fiat Aviazione nell’Aeritalia diventerà il notissimo G.222, il quale a sua volta sarà sviluppato dall’Alenia nell’odierno C-27J Spartan.

All’inizio degli anni Sessanta vi è un grande fermento nell’industria aeronautica italiana, poiché l’Aeronautica Militare e il governo italiano si trovano sotto la pressione statunitense per l’adozione del Lockheed F-104G come caccia intercettore supersonico in sostituzione dei modelli subsonici forniti dagli Stati Uniti come supporto a titolo gratuito alle Forze aeree della NATO in Europa. A Washington vi è il timore che l’Italia – dopo avere vinto la gara per il caccia leggero con il Fiat G.91 – intenda fare da sola anche con l’intercettore supersonico Leone.

La vicenda assume contorni poco chiari, quando l’Aerfer decide di abbandonare tutto il programma e dedicarsi a quello missilistico (Hawk), affiancando la consorella elettronica Selenia appartenente al Gruppo IRI. Il gruppo di lavoro al quale partecipa l’ingegner Giorgio Stiavelli viene disciolto, e nell’estate del 1961 egli accetta l’invito di un antico dipendente di suo padre alla Direzione Costruzioni Aeronautiche, l’ingegner Angelo Vallerani, il quale è il direttore generale dell’Aeronautica Macchi a Varese.

L’incarico riguarda il progetto e produzione di equipaggiamenti aerospaziali idraulici, elettrici e pneumatici in collaborazione con la Sprague statunitense. La ditta gli chiede anche il progetto di una piccola autovettura di piccola cilindrata, della quale furono realizzati due prototipi.

Con alle spalle quindici anni trascorsi a risolvere problemi tecnici d’ogni genere, che gli hanno valso una grande esperienza interdisciplinare, il non più giovane ingegnere s’impegna nel riprogettare tutta una serie di equipaggiamenti di supporto sia per officina sia per linea di volo, ottenendo grandi risultati e il rispetto e ammirazione degli operatori lungo un periodo di 25 anni. Accorgimenti quali il serbatoio a depressione sono applicati in tutto il mondo. L’eccellenza raggiunta consente all’industria italiana di acquisire contratti importanti, quali il banco idraulico per il cacciabombardiere Panavia Tornado e per l’analogo Mig 23 dell’aviazione irachena.

Passano gli anni – ben 35 – e si giunge così al tempo della cessione dell’Aermacchi alla holding finanziaria statale Finmeccanica. Lo sviluppo del settore dei sistemi di supporto tecnologico al suolo non appare interessante alla nuova proprietà. Perciò, nel 1981, l’ingegner Giorgio Stiavelli decide che è giunto il tempo mettere a profitto il proprio multiforme ingegno professionale, trasfondendolo in un’impresa di famiglia.

L’intenzione iniziale è progettare e sviluppare motori rotativi e piccole turbine, inoltre una nuova linea di attrezzature GSE di supporto ai nuovi aerei ed elicotteri di ultima generazione.Ben presto le nuove opportunità in campo civile offerte dallo sviluppo dell’aviazione executive iniziano a richiedere i nuovi prodotti ormai pronti per il mercato. Così ha inizio la nuova azienda Rotodyne che in un vecchio edificio industriale di proprietà di nonno Pierino  e l’appoggio del figlio Marco, che aveva finito da poco le scuole superiori e fin da giovanissimo si era appassionato alle attività del vulcanico genitore, danno vita a una serie di iniziative industriali

Si comincia riprendendo e rinnovando le linee di AGE (Aerospace Ground Equipment) realizzate negli anni passati: attrezzature di prova idrauliche elettriche e pneumatiche, mobili e da laboratorio, alle quali si aggiunsero poi nuovi tipi d’equipaggiamenti per impieghi speciali.

Il primo, nel 1982, è un carrello idraulico a tre ruote, richiesto in una decina di esemplari per i Citation e i Falcon acquistati da alcune società civili . Poco tempo dopo ha inizio quella collaborazione, che da allora lega il marchio Rotodyne allo sviluppo su scala mondiale degli elicotteri Agusta (oggi AgustaWestland).

Tutto naasce da una sfida tecnologica. Agusta proponeva la realizzazione di un impianto centralizzato con una serie di consolle remote distribuite sulla linea di montaggio del nuovo A109. Stiavelli, che conosceva le difficoltà della gestione di un sistema così complesso, risolve ogni dubbio presentando un banco prova completo e funzionale con le medesime dimensioni della consolle richiesta.

Di sfide di questo genere ne sono poi state affrontate e vinte non poche. Anche l’acquisizione della SIAI Marchetti con il jet S.211 trova la Rotodyne pronta a soddisfare ogni esigenza del costruttore, che ormai assorbiva l’80% della produzione.

Questa fattiva collaborazione si trasforma però in una seria difficoltà nel periodo 1992-93 con la crisi e il trasferimento del Gruppo Agusta dalla disciolta EFIM a Finmeccanica. La difficoltà economica viene risolta dall’agilità tecnologica dell’ingegner Giorgio Stiavelli, che porta alla realizzazione di un prototipo di generatore diesel montato su di un autocarro a propulsione elettrica. Questo mezzo fu prodotto a seguito di un contratto  con l’Aviazione Danese  (RDAF Royal Danish Air Force). In seguito Marco, stipula un accordo di sviluppo con  nota casa costruttrice siciliana di autocarri e  riferimento  in Italia del settore  mobilità urbana, la Effedi srl , dando una svolta e preparando  il prototipo, che in seguito produrrà una serie di cicca 200 esemplari di autocarri a trazione elettrica denominati“ Elettrone 28”,

La fiducia nell’immancabile ripresa del Gruppo Agusta viene alla fine premiata: dopo il 1995, con il nuovo assetto societario di AgustaWestland, ed il valoroso apporto dell’Ing. Castelli, giovane Tecnico dell’organico Rotodyne, si sviluppano nuove attrezzature di supporto al nuovo elicottero EH101, trimotore da 15 ton., acquisito dalla nostra marina Militare oltre ad altre forze armate in tutto il mondo. . Parallelamente, il marchio si afferma su scala globale, grazie ai rapporti diretti con i dealer Agusta sparsi in tutto il mondo, alcuni dei quali divengono anche manutentori. La collaborazione si rafforza ancor più con l’ampliamento dell’attività della nuova AgustaWestland sia per i modelli propri sia per quelli in collaborazione internazionale (un esempio è l’NH-90) e per le successive acquisizioni estere, come nel caso della PZL Swidnik.

Il continuo e costante adeguamento alle nuove tecnologie aerospaziali consente all’azienda di farsi trovare pronta nel 2000 a rispondere al requisito per il banco di controllo funzionale completo dell’avanzatissimo caccia Eurofighter Typhoon. I requisiti sono esigentissimi, e non di minore importanza sono gli impegni economici connessi per sostenere la produzione di macchine così complesse e costose. Ma la gara viene vinta e oggi sono schierati in Europa 25 impianti elettrici e 4 diesel.

E’ cosi che alla fine degli anni ’90, fa il suo ingresso anche l’ultimogenito Francesco, neo laureato alla IULM di Milano e lo vede da subito protagonista in azienda. Focalizzata la strategia commercial con il fratello Marco, lo vede migliorare, dando il suo prezioso contributo nella crescita della Rotodyne.

Si apre così una collaborazione con Alenia, che poi si allarga anche all’ambito civile, nel quale un altro cliente non meno importante è Piaggio Aero, per il quale sono in fase finale di realizzazione le stazioni di collaudo destinate al nuovo stabilimento di Villanova d’Albenga.

Dal punto di vista tecnologico, il top viene raggiunto con l’avvicinarsi del centenario dell’impegno di questa famiglia d’ingegneri nel settore aerospaziale, con la realizzazione dei banchi prova mobili per il cacciabombardiere di quinta generazione Lockheed F-35 Lightning II, il cosiddetto Joint Strike Fighter ideato per le tre forze aeree statunitensi (Aeronautica, Marina, Marines) e adottato da vari Paesi della Nato e alleati.

Dopo il collaudo positivo dei prototipi, nel nuovo stabilimento Rotodyne nell’area industriale di Caronno Pertusella si prepara la produzione di serie, che vede impegnata la quarta generazione aerospaziale Stiavelli, che inizia con il nipote Stefano di nonno Giorgio, il quale mantiene il ruolo di “guru” tecnologico universale dell’impresa di famiglia. E, secondo lui, la storia non finisce qui.

 

REGISTRATI al sito e inserisci Part.N° e Serial.N° delle tue attrezzature.Potrai tenere sotto controllo lo stato di manutenzione delle tue macchine e la relativa documentazione
Leggi di più...
 
  • Cerca vostra macchina